Al suo venticinquesimo anniversario, rimane il segno più forte di identità europea e resta una moneta stabile e competitiva per le imprese e i cittadini.
25 anni fa, alla vigilia della diffusione dell’euro ci si sentiva alle porte di un cambiamento epocale.
Ad enfatizzarne la portata, c’era anche chi aveva rispolverato in chiave europea la celebre frase risorgimentale di Massimo D’Azeglio. L’ex primo ministro citava, a proposito dell’agognata unità d’Italia disse: “ora che l’Italia è fatta, bisogna fare gli italiani”. La scommessa della valuta unica nell’euro-zona era quella di renderci tutti davvero europei.
Ad un quarto di secolo di distanza, con ormai un paio di generazioni che non hanno mai conosciuto la Lira, il Franco, il Marco ecc. la scommessa può dirsi vinta? L’economia del Vecchio Continente ne ha tratto i giusti benefici dal mondo delle imprese sino ai cittadini? L’Europa è diventata più competitiva nel confronto con i mercati globali?
Schiere di economisti, quando non con celati obiettivi politici, in tutti questi anni ne hanno tracciato vari bilanci con diverse sfumature. L’utopia dell’unione economica dell’area euro può dirsi realizzata senza i temuti sconquassi dei pessimisti della prima ora.
Ci sono stati tempi in cui il “No Euro” è andato di moda. C’è stato chi come il Regno Unito, che pur non avendo mai aderito all’Euro è proprio uscito dall’Ue. Chi ancora oggi valutando costi e benefici rimpiange le valute nazionali.
Ma nel complesso dal punto di vista tecnico l’operazione euro viene considerata un successo dalla maggioranza degli europei. Ciò di cui ci si lamenta riguarda politiche ancora troppo poco omogenee tra i paesi aderenti all’euro-zona come il Fisco.
Il cammino che ha fatto l’Italia per allinearsi ai parametri viene ancora ricordato come lungo e accidentato.
Iniziò nel 1996 con la stagione del risanamento del deficit per rientrare nei parametri di Maastricht. Ci vollero diverse manovre economiche e tasse di cui il grande regista fu Carlo Azeglio Ciampi alla guida dei dicasteri economici, del governo e poi dello Stato.
L’Italia senza il risanamento dei suoi conti pubblici rischiava di non farcela ad essere parte del gruppo di testa favorevole all’adozione della moneta unica.
A fianco di Ciampi che poi diventò anche Presidente della Repubblica c’era Mario Draghi, al tempo direttore generale del Ministero del Tesoro. Il 31 dicembre 1998 fu fissato il tasso di cambio tra l’euro e la lira italiana: un euro corrispondeva a 1.936,27 lire.
A partire dal 1° gennaio e per i tre anni successivi, l’euro sarebbe stato utilizzato per le modalità di pagamento non fisiche come le operazioni contabili e finanziarie. Le valute degli Stati che aderiscono alla moneta unica sono state bloccate a un tasso di cambio stabilito.
Solo dal 1° gennaio 2002 l’euro entra in circolazione per tutti. “Un euro sono 2.000 lire” si sentiva dire dai mercati rionali alle banche.
Per i successivi 2 anni ogni cosa aveva un prezzo indicato sia in lire che in euro, mentre c’era la corsa agli sportelli per riconvertire il denaro. Il cambio fisso evitò fenomeni speculativi, anche se la sensazione generale dei primi tempi fu “la spesa è raddoppiata, ma gli stipendi sono sempre gli stessi”.
In effetti, l’introduzione dell’euro ha ridotto i rischi legati alle variazioni dei tassi di cambio. Ha garantito una maggiore stabilità economica per i cittadini e le aziende dell’euro-zona, che in passato erano soggette a costose fluttuazioni valutarie.
L’aumento dei prezzi in effetti di verificò, ma è sempre stato tenuto sotto controllo. La prova è che dagli anni ’70 agli anni ’90 l’Italia registrava in media tassi di inflazione dell’11,5% all’anno, con punte superiori al 20%. Con l’introduzione dell’euro, l’inflazione è diminuita, anche se alcuni settori hanno aumentato i prezzi durante il passaggio dalla lira all’euro. Fino al 2020 l’inflazione sembrava essere scomparsa.
Negli ultimi due anni l’inflazione in realtà è tornata a crescere in presenza di alcuni fattori come la pandemia e poi con l’invasione russa dell’Ucraina.
L’inflazione italiana non è mai più tornata su quei livelli. Nonostante ciò, è parere diffuso che la politica delle banche centrali per controllare i prezzi non si è sempre rivelata efficace. Oggi l’euro è la moneta di 20 stati membri dell’Unione europea. L’ultima ad aderire è stata la Croazia che ha introdotto la moneta comune il primo gennaio 2023.
A Bruxelles, i responsabili delle politiche elencano tra i benefici la semplicità con cui i prezzi possono essere paragonati tra nazioni. Questo promuove la competizione tra le aziende a favore dei consumatori.
Allo stesso modo, la costanza dei prezzi e il fatto che la valuta unica facilita, rendendi più sicuro per le aziende comprare e vendere nell’area dell’euro.
E poi una maggiore stabilità e crescita economica, la maggiore integrazione dei mercati finanziari e dunque una maggiore influenza dell’area euro sull’economia globale. Tutto ciò rende l’euro la seconda valuta di riserva più popolare al mondo dopo il dollaro.
Il segno tangibile dell’identità europea attraverso la sua valuta unica può essere oggetto di diversi punti di vista. Molti di questi riemergono ora nella campagna elettorale per le elezioni europee di giugno. Tuttavia, ma questi 25 anni sono stati all’insegna di una gestione prudente dell’euro-zona.
La sua solidità lo rende costantemente appetibile per le aziende globali che intrattengono rapporti commerciali con l’Europa, accettando prezzi espressi in tale moneta.
Questo permette alle compagnie europee di risparmiare sui costi legati alle fluttuazioni dei tassi di cambio e ai costi di conversione dell’euro in altre monete.
L’euro è la moneta preferita per quasi il 40% dei pagamenti transnazionali a livello globale e per quasi metà delle esportazioni dell’UE a livello globale. Tutti elementi che si sono rafforzati nel corso degli anni e che hanno garantito una certa stabilità. Nella storia documentata fino ad ora, ha realmente protetto gli europei dagli “shock” economici globali e ha saputo favorire lo sviluppo dell’impresa libera made in Eu.